Traduzione in italiano di Daniele Tarini e Francesca Ugolini

Capitolo 5 - I cinque aggregati e le diciotto categorie

Nel capitolo precedente abbiamo visto questo estratto dal capitolo sulle pratiche virtuose del Sutra degli Infiniti Sensi, che rievoca risveglio del Buddha:

“Il suo spirito è in estinzione, la sua coscienza annientata, anche il suo pensiero è fermo; ha eliminato per sempre i ragionamenti errati come il sogno e non conoscerà più gli elementi, gli aggregati, i domini e le attività sensoriali”.

Gli "elementi" qui indicati sono i quattro elementi, cioè terra, acqua, fuoco e vento. Infatti la parola tradotta come elementi è grande (=dai). Nei Versetti sul tesoro dell'Abhidharma, Vasubandhu scrive: " L’aggettivo 'grande' deriva dal fatto che questi sono quattro vasti elementi in cui tutte le leggi delle forme (materia) vengono create e sorgono".

Quanto agli "aggregati, domini e attività sensoriali", raggruppati sotto il nome "tre categorie" che classificano "l'insieme delle leggi" che fanno del mondo quello che è, questi sono i cinque aggregati, i diciotto domini e i dodici ingressi, che vedremo più avanti.

Comprendiamo che lo stato di vita in cui è immerso il Buddha è quindi al di là di ciò che possiamo immaginare. "La sua coscienza è annientata", non percepisce più nulla e quindi "il suo corpo non è né esistente né inesistente". Quando gli esseri ordinari sono in tale stato, è perchè sono morti. Tuttavia, il Buddha è proprio vivo. Ha trasceso la vita e la morte. Ha testimoniato i quattro sigilli della Legge che sono:

I molteplici movimenti sono impermanenti

Perché soggetti alla legge di nascita e scomparsa

Una volta estinte la nascita e la scomparsa

L'estinzione pacifica  diventa gioia.

Estinzione è la traduzione della parola “Nirvana”. Per noi che non siamo nello stato di vita del Nirvana, è così che avviene il processo di cognizione.

Secondo il Sutra del Re benevolo, "La forma e lo spirito sono il fondamento degli esseri".

Ciò che ha una forma e occupa un posto nello spazio, senza avere la capacità di percepire si chiama “materia”. Ciò che invece non ha forma visibile ma ha funzioni di percezione e si chiama "mente".

Tutti gli esseri sono quindi costituiti da materia e spirito. Gli esseri senzienti sono costituiti da corpo e mente.

La parola giapponese per materia è "shiki" () che significa "colore". La parola per spirito è shin () che significa cuore.

Il rapporto tra corpo e mente, tra materia e spirito è una delle chiavi per comprendere la differenza tra il buddismo e le altre religioni e filosofie.

 

Religioni e filosofie diverse dal buddismo stabiliscono un dualismo tra materia e spirito.

Per loro, infatti, la materia è oggettiva e non dipende dall'Uomo: può essere oggettivata ed esiste indipendentemente dalla nostra coscienza. Lo spirito è soggettivo in quanto specifico di ciascuno: definisce una realtà che è relativa all'Uomo.

Esistono diversi tipi di dualismo. Il dualismo classico e cartesiano stabilisce una netta separazione tra materia e spirito poiché riguardano rispettivamente il campo fisico e quello mentale. Platone afferma così che c'è una discontinuità tra il mondo sensibile e il mondo delle idee. La teoria di Cartesio va nella stessa direzione di quella di Platone. Tuttavia, aggiunge che l'uomo è sia materia che spirito, sebbene questi due elementi siano indipendenti. Il corpo, infatti, è una sostanza spaziale e l'anima una sostanza ideale: questi due elementi si uniscono e quindi formano l'Uomo.

Leibniz, da parte sua, sostiene l'assenza di un legame tra corpo e anima. Infatti, se l'Uomo funziona correttamente, è solo grazie a Dio che ha saputo stabilire una certa armonia nel mondo.

 

Il buddismo insegna esattamente il contrario, ovvero la non dualità (funi=不二) di materia e spirito.

Siamo quindi costituiti da materia e spirito, che il Buddismo divide in cinque elementi chiamati aggregati, o ombre, o accumulazioni, come abbiamo visto nei capitoli precedenti.

 

Questi cinque elementi sono forma, percezione, concettualizzazione, reazione e consapevolezza.

L'elemento "forma" (shiki-) è diviso in "forma interna" (naishiki - 内色) e "forma esterna" (geshiki - 外色). I nostri cinque sensi, vista, udito, olfatto, gusto e tatto, che il buddismo chiama le cinque radici (gokon 五根) rappresentano la forma interiore. La parola radice (kon-) è stata usata perché ognuna di queste cinque radici dà origine alla coscienza.

Le cinque categorie di oggetti della percezione che sono forme e colori, i suoni, profumi e odori, sapori, tatto, rappresentano la forma esteriore e sono chiamate i cinque oggetti (gokyō 五境) o anche i cinque luoghi (gosho 五処).

Alle cinque radici se ne aggiunge una sesta, la radice della coscienza. La sua controparte, come oggetto di percezione, è il fenomeno. Nella sua accezione ampia, la radice della coscienza comprende le altre coscienze e in senso stretto riguarda oggetti della coscienza che non hanno una forma materiale.

Se la medicina moderna riconosce una non dualità tra la forma interiore e la nostra mente da un punto di vista psicosomatico (mi fa male la testa, che provoca la comparsa di vari sintomi fisici), siamo ancora lontani dal riconoscere una non dualità tra la nostra mente e il mondo esterno.

E ancora! Supponiamo di guidare una macchina. Sul ciglio della strada c'è un autostoppista. Se non vediamo questo autostoppista, per noi non esiste. Esiste solo quando lo percepiamo.

Prendiamo questa volta un esempio usando la radice dell'udito.

Percepiamo un rumore (stadio di percezione). Capiamo che sia il canto di un uccello (concettualizzazione). Se siamo ornitofili, capiamo che è un pettirosso. Nella fase successiva (reazione), questo canto ci piace o no. Un insetto sarà pieno di terrore, mentre un predatore si rallegrerà di un possibile pasto. Nella fase del quinto aggregato, abbiamo preso coscienza del canto dell'uccello e lo abbiamo analizzato.

Ancora una volta, siamo consapevoli dell'esistenza di questo uccello solo perché è entrato nel nostro campo di percezione. Se fosse stato all'altro capo della terra, non saremmo venuti a conoscenza della sua esistenza e quindi, per noi, non esisterebbe. A differenza di altre religioni e filosofie, soprattutto occidentali, il buddismo non insegna l'esistenza di un noumeno o di un'essenza. Riconosce solo un mondo fenomenico limitato per di più alla nostra prospettiva e cognizione sensoriale e circoscritto sia nel tempo che nello spazio. Quindi, se pensiamo che la Torre Pendente di Pisa è ancora al suo posto e che nostro cugino sta guardando la televisione, queste sono solo supposizioni soggettive. Finché non siamo davanti alla Torre di Pisa o davanti al cugino, non siamo certi della loro esistenza.

È lo stesso con Dio. A differenza della maggior parte delle religioni, il buddismo non si pronuncia sull'esistenza di un'entità che si sarebbe liberata dallo spazio, dal tempo, dal cambiamento, dalla nascita o dalla morte. Una cosa del genere è così al di là delle nostre capacità intellettive, che il Buddismo non ne parla. Il Buddha, inoltre, dichiara di preferire che il suo insegnamento sia usato per definire l'ascesi che permette l’illuminazione.

Dopotutto, se siamo su una piccola barca in mezzo all'oceano in tempesta, invece di chiederci se Dio ha creato il mare, se è stato lui a scatenare la tempesta e qual è l'età del capitano, ci preoccupiamo soprattutto di sapere se sappiamo nuotare o no. Siamo immersi nella tempesta della vita e della morte. Invece di implorare la salvezza da una divinità esteriore e illusoria, troviamo in noi stessi la forza di trascendere la vita e la morte. Questo è l'obiettivo del Buddismo.

I cinque aggregati che abbiamo appena citato costituiscono quindi la distinzione in cinque termini dell'insieme dei dharma costituenti il corpo e dello spirito (tutti i fenomeni relativi all'individuo) e anche della materia e della mente (tutti i fenomeni interni ed esterni).

Il nostro sistema percettivo continua con “le dodici voci”, chiamate “attività sensoriali” nel Sutra degli Infiniti Sensi citato sopra.

 

Le dodici voci (jūni nyū -十二入) sono un sistema di analisi che nasce dall'osservazione del sistema cognitivo legato alla percezione e alla sensazione dei dharma. Vedremo che queste dodici voci hanno due classi di elementi:

  • Sei cosiddetti input interni che sono le capacità percettive del soggetto (queste sono le sei radici - 六根)

  • Sei cosiddetti input esterni che sono gli oggetti fenomenici (usiamo l'espressione "Sei luoghi - 六処)

Così, colori e forme sono gli oggetti (o luoghi) della radice visiva, i suoni rappresentano gli oggetti (luoghi) della radice uditiva, gli odori sono gli oggetti (luoghi) della radice olfattiva, i sapori sono gli oggetti (luoghi) della radice gustativa, le sensazioni tattili (caldo, freddo, duro, morbido ecc.) sono gli oggetti (luoghi) della radice corporea, i fenomeni immateriali sono gli oggetti (luoghi) della radice della coscienza. 

L'associazione di ogni "radice" (la causa) con un "oggetto" (condizione) dà una "consapevolezza" (effetto), che dà sei coscienze: coscienza visiva, coscienza uditiva, coscienza olfattiva, coscienza gustativa, coscienza tattile e coscienza mentale.

Queste sei coscienze aggiunte alle dodici voci danno i diciotto domini (jūhachi kai-十八界) che, come abbiamo visto all'inizio di questa presentazione, classificano "l'insieme delle leggi" che rendono il mondo quello che è.

Di cosa si tratta, ma dal punto di vista della nostra soggettività. Perché ci piace un colore più di un altro, perché siamo più attratti da alcune persone che da altre? La risposta a queste domande è data dalla presentazione di una settima coscienza chiamata "manas", che è la sede del nostro ego, che studieremo nel prossimo capitolo.

 

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